Il Caso dell’Ultras Licenziato Per Un Reato Commesso Fuori dall’orario Lavorativo
Il comportamento fuori dal luogo di lavoro può portare al licenziamento?
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24100 depositata il 28 agosto 2025, ha ribadito un principio di grande importanza nel diritto del lavoro italiano: la condotta privata del dipendente può avere conseguenze disciplinari quando compromette la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel lavoratore.
La sentenza chiarisce che la moralità personale costituisce un requisito essenziale del rapporto di lavoro e che comportamenti esterni, anche se non collegati alle mansioni svolte, possono giustificare il licenziamento disciplinare. Come sottolinea la Corte, il licenziamento è legittimo quando la condotta è
“idonea a pregiudicare la statura morale del lavoratore, come da fattispecie disciplinare prevista nel CCNL”.
La pronuncia in esame conferma e precisa un orientamento consolidato secondo cui il vincolo fiduciario non si limita a quanto accade in azienda, ma si estende a comportamenti esterni che possano ledere la credibilità e l’integrità del dipendente agli occhi del datore di lavoro.
La decisione sottolinea inoltre che il licenziamento disciplinare deve basarsi su fatti concreti, accertati e valutati in modo proporzionato rispetto alla gravità della condotta, e non può essere determinato da sospetti o voci.
Il principio espresso dalla Cassazione ha quindi implicazioni significative per la gestione delle risorse umane, evidenziando come il rispetto della moralità personale e della fiducia sia un elemento imprescindibile del rapporto professionale.
Il caso, come il comportamento fuori dall’orario di lavoro ha portato al licenziamento del lavoratore
Il caso oggetto della sentenza riguarda un lavoratore dipendente coinvolto in episodi di violenza nell’ambito delle tifoserie calcistiche. L’uomo è stato condannato a otto mesi di reclusione per reati quali oltraggio alle forze di polizia, istigazione a delitti contro la persona e reiterati atti offensivi nei confronti di pubblici ufficiali.
La Corte di Appello e, successivamente, la Cassazione hanno ritenuto tali condotte particolarmente gravi, sottolineando che
“i fatti per i quali il C.G. è stato condannato… sono oggettivamente e soggettivamente gravi, in considerazione delle fattispecie incriminatrici violate e del concreto disvalore penale che deriva dalla natura delle persone offese… e dei beni giuridici tutelati”.
La gravità, peraltro, non dipende esclusivamente dalla pena inflitta, ma anche dal contesto e dall’impatto delle condotte. I giudici hanno evidenziato che i reati sono stati commessi in un contesto definito “particolarmente aggressivo”, con l’uso di frasi ingiuriose e talvolta istiganti alla violenza, nell’ambito di condotte reiterate nel tempo per quasi due anni.
Tali comportamenti, sebbene avvenuti lontano dall’ambiente di lavoro, hanno compromesso la fiducia necessaria per il corretto svolgimento del rapporto professionale.
La sentenza chiarisce che la perdita di fiducia non richiede un collegamento diretto con le mansioni aziendali: ciò che conta è l’incidenza della condotta sulla credibilità e sull’integrità del lavoratore, elementi fondamentali in qualsiasi contesto professionale.
La sentenza della Cassazione sul comportamento fuori dall’orario lavorativo
La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento, affrontando anche questioni procedurali rilevanti. Il lavoratore, infatti, aveva impugnato il licenziamento sostenendo anche la tardività della contestazione, oltre che la sproporzione fra fratto e sanzione.
La Corte ha rigettato tutti i motivi, chiarendo che datore di lavoro ha atteso il passaggio in giudicato della condanna prima di procedere – comportamento definito “prudente e responsabile” – e che
“il lasso temporale tra i fatti e la loro contestazione deve decorrere dall’avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non dall’astratta percettibilità dei fatti stessi”.
Tale principio è posto a tutela sia dell’azienda, permettendole di agire con certezza, sia del dipendente, evitando contestazioni premature basate su elementi non definitivi.
Inoltre, ha sottolineato come il giudizio sulla proporzionalità tra la condotta contestata e la sanzione sia di esclusiva competenza del giudice di merito, e non possa essere sostituito da un diverso apprezzamento in sede di legittimità se la motivazione è adeguata e coerente.
In sintesi, la sentenza stabilisce tre principi fondamentali:
- la condotta privata può incidere sul rapporto di lavoro se compromette la fiducia;
- il datore di lavoro può attendere l’esito di procedimenti penali per esercitare correttamente il potere disciplinare;
- la proporzionalità e la gravità della sanzione devono essere valutate caso per caso, senza necessità di confronti con altri dipendenti, purché vi sia motivazione chiara e basata sui fatti.
Questa pronuncia consolida la centralità del vincolo fiduciario e della moralità personale come requisiti imprescindibili del lavoro subordinato.
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