Periodo Di Prova: Disabilità e Tutele
Che cos’è il patto di Prova
Il periodo di prova o patto di prova è una condizione che può essere apposta al contratto di lavoro, con la quale si subordina il carattere definitivo dell’assunzione al compimento di un periodo di prova. Durante tale periodo, entrambe le parti sono “libere” di recedere dal rapporto di lavoro.
Tale condizione viene generalmente inserita nel contratto dal datore di lavoro – necessariamente in forma scritta – al fine di valutare le competenze del lavoratore e l’adattamento all’ambiente di lavoro. Può essere disposto per tutti i tipi di contratto, sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato.
La durata del periodo di prova varia a seconda di diversi elementi. Nei contratti a tempo indeterminato rilevano le specifiche mansioni e il ruolo assegnato al lavoratore, mentre nei contratti a termine occorre tener conto anche della durata del contratto stesso, prevedendosi, generalmente, un giorno di prova per ogni quindici giorni di calendario, a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro.
Quali sono i limiti del diritto di prova?
L’art. 2096 c.c., oltre e prevedere l’obbligatorietà della forma scritta per l’assunzione del prestatore di lavoro in prova, sancisce anche che:
“Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto senza obbligo di preavviso o d’indennità. Se però la prova è stabilità per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine”.
Il datore di lavoro, così come il lavoratore, dunque, può recedere “liberamente” dal contratto in prova, purché, però, vengano rispettati comunque dei limiti e dei requisiti minimi.
Al lavoratore, infatti, devono essere garantiti:
- l’indicazione, all’interno del contratto, delle specifiche mansioni da svolgere;
- la possibilità di espletare concretamente le mansioni previste e specificatamente indicate nel contratto, dovendo dunque essere adibito realmente alle mansioni per cui è stato assunto in prova;
- un lasso di tempo ragionevole e sufficiente a verificare che la prova sia stata superata o meno, garantendogli un tempo di durata minimo.
Alla luce di ciò, nel caso di volontà di non attribuire un carattere definitivo al rapporto all’esito del periodo di prova, l’ordinamento prevede in capo al datore di lavoro una discrezionalità limitata, che deve infatti fondarsi su motivazioni reali e coerenti.
Ciò al fine di:
- tutelare il lavoratore, il quale deve poter realmente rendere le prestazioni previste da contratto in un lasso di tempo consono a consentire la valutazione circa la propria adeguatezza alle mansioni assegnate;
- evitare che il datore di lavoro possa imporre delle scelte completamente arbitrarie e non rispondenti ai principi dell’ordinamento.
Cosa dice la legge sul diritto di prova?
La recente giurisprudenza si è soffermata su tali principi, evidenziando come l’accertamento di mansioni diverse da quelle specificamente pattuite nel patto di prova comporta la dichiarazione dell’illegittimità del licenziamento e può determinare l’istituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Tale orientamento è, da ultimo, stato fatto proprio dalla Cassazione, sezione lavoro, nell’ordinanza n. 30810 del 02/12/2024.
Alla luce della citata giurisprudenza, è pacifica l’illegittimità del licenziamento intimato al lavoratore in prova, allorquando quest’ultimo, per omessa concreta attribuzione delle mansioni, non sia stato posto in grado di sostenere la prova.
Inoltre, risulta altrettanto illegittimo il licenziamento in prova intimato dopo un lasso di tempo troppo breve e comunque in assenza di una reale valutazione delle capacità professionali del lavoratore.
È necessario puntualizzare come, però, il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere specificatamente motivato, neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso; incombe, pertanto, sul lavoratore licenziato, che deduca in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso, l’onere di provare sia il positivo superamento del periodo di prova, sia che il recesso è stato determinato da motivo illecito e quindi, estraneo alla funzione del patto di prova (Cass. Civ. Sez. Lav. Ord. n. 13514/2024).
Tutele per casi di disabilità
Posto che un rapporto di lavoro instaurato con un lavoratore disabile (beneficiario ai sensi della l. 68/99) possa pacificamente interrompersi per mancato superamento del periodo di prova, la giurisprudenza ha imposto l’adozione di particolari cautele circa l’esercizio del diritto di recesso senza preavviso e senza motivazione, al fine di salvaguardare la ratio e l’efficacia normativa del collocamento obbligatorio dei disabili. In particolare:
- In primis, la Suprema Corte ha sancito come la prova deve avere ad oggetto mansioni compatibili con lo stato invalidante del lavoratore (Cass. n. 5541/03);
- In secondo luogo, seppure sia vero come il recesso per mancato superamento del periodo di prova non richieda una motivazione al fine della sua validità, allo stesso modo il datore di lavoro è tenuto a spiegarne le ragioni, serie ed obiettive, qualora il lavoratore disabile ne faccia successivamente richiesta, al fine di poter verificare concretamente l’adeguatezza delle mansioni assegnate e l’effettiva inidoneità dimostrata nello svolgerle (Cass. n. 3689/98; Cass. n. 13726/00).
- L’eventuale risoluzione del rapporto per esito negativo, a seguito del periodo di prova, non deve dipendere dalla menomazione da cui è affetto il lavoratore (Art. 11, comma 2 L. 68/1999), o, in ogni caso, non deve essere influenzato da valutazioni negative circa il minore rendimento lavorativo dovuto all’invalidità.
In sostanza, la disabilità non può mai costituire motivo di risoluzione del rapporto di lavoro poiché, se così fosse, si attuerebbe una inaccettabile forma di discriminazione.
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