Molestie Sul Lavoro
Basate Sull’Orientamento sessuale
La Costituzione Italiana non contiene un articolo specifico che sancisce esplicitamente la libertà sessuale, ma la sua tutela è implicita e si desume da diversi articoli che garantiscono diritti fondamentali, quali la dignità umana, l’uguaglianza e la libertà di autodeterminazione.
Le maggiori espressioni della tutela in favore della libertà sessuale si possono rinvenire nell’articolo 2 della Costituzione che garantisce la libertà di espressione della personalità dell’individuo – sia come singolo che nelle formazioni sociali (e dunque anche nel contesto lavorativo) – e nell’articolo 3, che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini.
In applicazione di tali precetti costituzionali, dal punto di vista giuslavoristico, la tutela espressa nei confronti delle discriminazioni sul lavoro si rinviene in diverse fonti normative.
In particolare, è opportuno citare:
Il Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216 🡪
Questo decreto è fondamentale in quanto recepisce la direttiva europea (2000/78/CE) per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. La sua rilevanza è cruciale per i seguenti motivi:
- vieta espressamente qualsiasi forma di discriminazione basata sull’orientamento sessuale, sia in fase di assunzione, sia durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, sia al momento dell’eventuale cessazione. Tali divieti forniscono una solida base legale per consentire l’accertamento dell’illegittimità di qualsiasi azione discriminatoria;
- il divieto di discriminazione ha una portata molto ampia e include anche comportamenti costituenti “molestie”, che creano un ambiente di lavoro ostile a causa dell’orientamento sessuale.
L’Articolo 15 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 20 maggio 1970, n. 300)
Questa norma, di carattere più generale, ha una notevole importanza nel sistema antidiscriminatorio, vietando per l’appunto i licenziamenti discriminatori.
Tuttavia, pur non indicando esplicitamente, fra i fattori che possono condurre a illegittime distinzioni, l’orientamento sessuale, la giurisprudenza (e in particolare quella della Corte di Cassazione) ha interpretato l’articolo citato in modo estensivo, includendo l’orientamento sessuale tra i motivi di discriminazione vietati. Pertanto, a titolo esemplificativo, un licenziamento basato sull’omosessualità è da considerarsi nullo e attribuisce al lavoratore il diritto alla reintegra o all’indennità sostitutiva.
Che cosa sono le Molestie sul lavoro?
Le molestie sul lavoro rappresentano una piaga insidiosa che mina il benessere dei lavoratori e la serenità degli ambienti professionali; costituiscono una grave violazione della dignità umana e possono assumere forme diverse, con conseguenze negative di rilievo sia per la vittima sia per l’intera organizzazione lavorativa.
Il termine “molestie”, infatti, racchiude un’ampia gamma di comportamenti indesiderati che hanno lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un ambiente di lavoro intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Queste condotte possono manifestarsi attraverso:
- molestie verbali: commenti inopportuni sull’aspetto fisico, sull’orientamento sessuale, sull’origine etnica o religiosa;
- molestie non verbali: gesti osceni, messaggi o e-mail a contenuto sessuale o offensivo;
- molestie fisiche: contatti fisici indesiderati, palpeggiamenti, aggressioni sessuali;
- cybermolestie (cyberbullying lavorativo): utilizzo di strumenti digitali (e-mail, social media, messaggistica) per perpetrare atti di molestia.
Cosa dice la giurisprudenza sulle molestie basate sull’orientamento sessuale
L’orientamento giurisprudenziale, solido e univoco sul tema, esprime chiaramente la necessità di reprimere ogni atteggiamento discriminatorio legato all’orientamento sessuale in ambito lavorativo, sia esso proveniente dal datore di lavoro ovvero da uno stesso lavoratore nei confronti di un proprio collega.
Osservano la più recente giurisprudenza sul tema, infatti, è opportuno citare l’ordinanza n. 6345 del 10 marzo 2025 della Cassazione, in cui si afferma che rivolgere frasi offensive sull’orientamento sessuale di un collega o una collega integra una forma di molestia, per la cui sussistenza non è richiesta l’intenzione soggettiva dell’autore della condotta.
La vicenda sottoposta all’attenzione della Corte ha ad oggetto un licenziamento intimato dal datore di lavoro nei confronti di un dipendente per aver rivolto ad una collega, in presenza di altri lavoratori, frasi offensive sul suo orientamento sessuale. Il licenziamento è intervenuto a seguito di diverse contestazioni disciplinari comminate nel giro di pochi giorni a causa dei suddetti ripetuti comportamenti.
Il lavoratore ha impugnato il licenziamento innanzi al Tribunale e successivamente alla Corte d’Appello, al fine di richiedere la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno. Rigettata l’impugnazione da parte del Tribunale in primo grado, la Corte d’Appello ha aderito all’impostazione del Giudice di prime cure, ritenendo le azioni poste in essere dal ricorrente disonorevoli ed immorali, in quanto:
- ciascun dipendente ha il dovere di rispettare la dignità altrui e, in primo luogo, quella dei colleghi;
- è necessario considerare l’esigenza, fatta propria dall’ordinamento giuridico, di assicurare il pieno rispetto di qualunque scelta di orientamento sessuale;
- le frasi proferite dal ricorrente risultano disonorevoli ed immorali, atteso che l’ordinamento qualifica in termini di discriminazione anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima degradante, umiliante od offensivo;
- la tutela contro le discriminazioni sessuali poggia sul rilievo del contenuto oggettivo della condotta, nonché sulla percezione soggettiva da parte della stessa vittima, mentre non è necessaria l’intenzione soggettiva di infliggere molestie da parte dell’autore;
Tutto ciò, unitamente alle circostanze specifiche del caso, ha inconfutabilmente consentito di accertare la legittimità del licenziamento irrogato al dipendente.
Tali principi sono stati ribaditi allo stesso modo anche in occasione dell’impugnazione dinnanzi alla Corte di legittimità, la quale, nel confermare la pronuncia di merito, ha rilevato come:
- l’ordinamento giuridico assicura il pieno rispetto di qualunque scelta di orientamento sessuale, come tale attinente alla sfera intima e assolutamente riservata della persona;
- le frasi offensive nei confronti dell’altrui orientamento sessuale integrano una molestia qualificabile in termini di discriminazione;
- è sufficiente, ai fini della configurabilità delle molestie, aver leso oggettivamente una persona, seppur senza specifica intenzione.
Sulla scorta di ciò, anche la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dal dipendente, confermando la legittimità dell’impugnato recesso.
Conclusioni
Contrastare le molestie sul lavoro è un imperativo etico e giuridico. Richiede un impegno congiunto da parte dei datori di lavoro, dei lavoratori e delle istituzioni al fine di promuovere una cultura del rispetto, della dignità e della parità di trattamento.
Solo attraverso la consapevolezza, la prevenzione e la repressione efficace di questi comportamenti inaccettabili sarà possibile costruire ambienti di lavoro realmente inclusivi e produttivi, dove ogni persona possa sentirsi al sicuro e valorizzata.
Se ritieni di essere stato vittima di molestie o discriminazione sul luogo di lavoro, contattaci senza impegno per fissare una consulenza in Studio o da remoto.
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