COME AFFRONTARE IL MOBBING: STRATEGIE PER PROTEGGERSI E DENUNCIARE
COME AFFRONTARE IL MOBBING: STRATEGIE PER PROTEGGERSI E DENUNCIARE
Nella nostra guida, il fenomeno del mobbing è stato analizzato sotto diversi punti di vista: partendo dalla definizione offerta dalla giurisprudenza, si è proceduto ad esaminare gli elementi costitutivi della fattispecie e i diversi tipi di mobbing, in ragione dei soggetti che, in ciascuna situazione, realizzano e subiscono le condotte mobbizzanti.
Ci si è inoltre soffermati su diverse situazioni e comportamenti che possono verificarsi sul luogo di lavoro, i quali – secondo gli studi psicologici e la prassi – costituiscono a tutti gli effetti segnali d’allarme del mobbing.
L’indagine sul mobbing è proseguita con particolare attenzione all’aspetto normativo: nonostante infatti, l’assenza di leggi specifiche in materia, abbiamo esaminato le principali norme che, in caso di mobbing, vengono violate in via diretta o indiretta dal datore di lavoro o da chi, per lui, è autore delle condotte mobbizzanti, partendo dalla costituzione e proseguendo con il codice civile e con le leggi speciali. Il tutto senza trascurare le disposizioni del codice penale che, in base alla specifica situazione, potrebbero rilevare, dando atto altresì dei recenti interventi nell’ambito della contrattazione collettiva finalizzati a fornire ai lavoratori una tutela preventiva rispetto ai fenomeni di mobbing.
Nel presente articolo, ci soffermeremo sul mobbing in una prospettiva più concreta, cercando di individuare alcune strategie per difendersi dal mobbing e, più in generale, dalle vessazioni e dalle ostilità in ambito lavorativo, sia in autonomia che con l’aiuto – spesso fondamentale – di soggetti esterni.
COSA PUO’ FARE IN AUTONOMIA UN LAVORATORE VITTIMA DI MOBBING
1. Analizzare razionalmente la situazione lavorativa.
È frequente che, a fronte di condotte sgradevoli o ingiuste dei propri colleghi o del datore di lavoro, un lavoratore ritenga di essere vittima di mobbing, così perdendo la fiducia in sé stesso e lasciandosi pervadere dalla depressione, oppure lasciandosi istintivamente travolgere dal “bisogno di vendetta” nei confronti dei presunti mobber. Tali reazioni, il più delle volte inconsce o irrazionali, possono condurre il lavoratore ad agire in maniera sconsiderata e, in taluni casi, anche a farlo “passare dalla parte del torto”.
Il nostro primo consiglio, pertanto, è quello di esaminare attentamente la propria situazione prima di prendere qualsiasi decisione o intraprendere qualsiasi iniziativa. La prassi insegna – e la giurisprudenza conferma – che molti lavoratori ritengono di essere vittime di mobbing anche in mancanza degli elementi che connotano propriamente questo fenomeno.
È dunque fondamentale, a mente fredda, riuscire ad analizzare i comportamenti subiti, verificando con razionalità la presenza di un effettivo intento estromissivo o vessatorio del datore di lavoro. Solo in tal modo è possibile escludere che taluni “segnali d’allarme”, in realtà, siano semplicemente fraintendimenti o situazioni di ingiustificata avversione, dettate da fatti contingenti e risolvibili con pazienza, buon senso e ragionevolezza da entrambe le parti.
2. Non arrendersi.
Il lavoratore vittima di una perdurante e reale situazione di mobbing spesso vede come soluzione più immediata quella di rendere le proprie dimissioni e lasciarsi alle spalle l’ambiente nocivo. Tuttavia, operare questa scelta significa “darla vinta al mobber”, che in quanto tale (datore di lavoro o collega che sia) si è posto sin da subito l’obiettivo illecito e ingiusto di estromettere il lavoratore vittima dal contesto aziendale.
Per riuscire a far valere i propri diritti, dunque, è opportuno resistere e non arrendersi di fronte alle condotte vessatorie, ricorrendo alla fruizione di un periodo di malattia o di ferie solo se strettamente necessario per la propria integrità psicofisica.
Occorre, però, fare una precisazione: recedere dal rapporto di lavoro, in alcuni casi, può costituire una soluzione valida per liberarsi della situazione di mobbing senza rinunciare ai propri diritti. Si tratta di tutte le ipotesi in cui – come meglio si dirà in seguito – dopo aver contestato le condotte mobbizzanti subite e rivendicato i propri diritti nei confronti del datore di lavoro, si proceda ad una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro che preveda un ristoro economico per tutti i danni subiti dal lavoratore a causa della situazione di mobbing.
3. Trovare degli alleati.
Se si è vittima di mobbing, non è facile ricevere il supporto dei propri colleghi: questi ultimi, infatti, spesso rimangono indifferenti per evitare di diventare a proprio volta vittime a proprio volta, oppure sono essi stessi gli autori delle condotte vessatorie. Per questa ragione, diventa innanzitutto fondamentale comprendere di chi potersi fidare nell’ambiente di lavoro.
Quanto, invece, ai rapporti extraprofessionali, per evitare che l’isolamento di cui si è vittima nell’ambiente lavorativo possa pesantemente riverberarsi anche sulla vita quotidiana, è essenziale coltivare le relazioni sociali e affettive. Da un lato, infatti, raccontare a familiari e amici la propria situazione lavorativa senza vergogna può essere una utile valvola di sfogo, dall’altro i rapporti sociali extra-lavorativi possono aiutare anche a distrarsi dal problema ed evitare di focalizzarsi esclusivamente sulla situazione di mobbing, che potrebbe comportare un impatto psicologico non indifferente.
4. Precostituirsi dei mezzi di prova.
Per far valere i propri diritti, è fondamentale riuscire a dimostrare il mobbing. Anche se non si intende agire per le vie legali, infatti, aver documentato le vessazioni e le ostilità subite può costituire il migliore strumento di pressione per ottenere un giusto ristoro dal datore di lavoro.
Nello specifico, consigliamo di:
– trovare colleghi disposti a testimoniare;
– prendere nota scritta di ogni azione mobbizzante, riportandone data, ora, luogo, autore, descrizione, persone presenti, testimoni;
– documentare le conseguenze psico-fisiche dei comportamenti mobbizzanti, svolgendo, se necessario, visite e accertamenti medico-psicologici;
– lasciare traccia scritta di ogni richiesta o contestazione ricevuta, attraverso mail, messaggi e se necessario raccomandate AR;
– effettuare registrazioni audio di colloqui, riunioni o diverbi con gli autori delle condotte mobbizzanti (restando entro i limiti della legalità: https://www.avvocatochinni.it/2023/02/23/registrazioni-audio-diritto-del-lavoro/)
A chi chiedere Aiuto in caso di Mobbing
Purtroppo, nella maggior parte dei casi, il supporto di colleghi, amici e familiari e le iniziative individuali del lavoratore vittima di mobbing non sono sufficienti per liberarsi definitivamentedelle situazioni di vessazioni e ostilità nell’ambiente lavorativo.
In queste ipotesi, è necessario poter contare sul supporto di soggetti terzi – associazioni, enti e professionisti – in grado di fornire un aiuto concreto, sia per far valere i propri diritti che per affrontare la situazione lesiva in maniera ottimale.
In particolare, può essere opportuno il confronto con uno psicoterapeuta esperto nelle dinamiche sociali e psicologiche del lavoro: intraprendere un percorso di terapia psicologica non è sinonimo di debolezza o di “incapacità di farcela da soli” ma, al contrario, può fornire strumenti utili per resistere al comportamento ostile dei colleghi e/o del datore di lavoro, nonché per mantenere la giusta calma e razionalità necessaria per affrontare il mobbing.
È possibile ricevere un ulteriore ausilio rivolgendosi alla propria associazione sindacale, agli sportelli pubblici antimobbing o ad associazioni indipendenti e senza fini di lucro che si pongono l’obiettivo di contrastare il fenomeno, come ad esempio il MIMA (Movimento Italiano Mobbizzati Associati) o l’Osservatorio Nazionale Mobbing-Bossing.
Tuttavia, per far valere i propri diritti, ottenere la cessazione delle condotte mobbizzanti e/o un risarcimento per tutti i danni subiti a causa del mobbing posto in essere da colleghi o dal datore di lavoro, occorre rivolgersi a un legale esperto in diritto di lavoro.
Solo un avvocato con esperienza in materia di mobbing e alle altre condotte illecite affini (ad esempio, straining) può, infatti:
– analizzare compiutamente la situazione del lavoratore vittima, verificando la sussistenza di tutti i presupposti delineati dalla giurisprudenza per definire propriamente come mobbing una data situazione;
– esaminare la portata delle singole condotte illecite poste in essere dal datore di lavoro e/o dai colleghi, valutando compiutamente – anche da un punto di vista economico – i pregiudizi conseguenti e verificando la possibile rilevanza penale delle stesse;
– contestare al datore di lavoro le violazioni commesse da quest’ultimo personalmente o dai propri dipendenti in danno del lavoratore vittima, tenendo conto di ogni profilo giuridicamente rilevante, nonché producendo gli effetti di legge quali la messa in mora e l’interruzione della prescrizione;
– denunziare tali condotte, in maniera specifica e analitica, all’Ispettorato del Lavoro e/o alla Polizia Giudiziaria, al fine da avviare a carico del datore di lavoro accertamenti ispettivi e/o indagini penali;
– gestire una trattativa finalizzata ad una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, a fronte di un congruo ristoro economico per tutti i danni subiti dal lavoratore a causa della situazione di mobbing;
– instaurare un procedimento civile dinanzi al Tribunale del lavoro, valorizzando ogni elemento di prova utile per consentire una dimostrazione effettiva e concreta del mobbing, alla luce della più recente giurisprudenza pronunciatasi in materia, con l’obiettivo di ottenere il risarcimento integrale di ogni pregiudizio, patrimoniale e non patrimoniale, subito dal lavoratore vittima.
Ritieni di essere vittima di mobbing? Contattaci senza impegno per fissare una consulenza in studio.
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