Leggi e Normative sul Mobbing

 

Quali sono i diritti dei lavoratori e quali sono gli obblighi dei datori di lavoro nella prevenzione del mobbing sul lavoro

Mobbing, Quali sono le normative di riferimento

Nel precedente articolo, in cui si è affrontato il tema del mobbing da un punto di vista generale, si è evidenziato come nel nostro ordinamento manchi una normativa ad hoc per definire e disciplinare il fenomeno del mobbing.

Si è infatti sottolineato come gran parte delle regole di riferimento siano di creazione giurisprudenziale: la Corte di Cassazione, negli ultimi due decenni, ha avuto modo di pronunciarsi più volte sull’argomento, delineando una serie di regole imprescindibili per qualificare come mobbing determinate situazioni illegittime che si verificano sul luogo del lavoro, da cui possono discendere plurime violazioni dei diritti che la legge e il contratto collettivo attribuiscono ai lavoratori.

Tuttavia, la mancanza di una disciplina specifica – è bene precisarlo – non implica una forma di “indifferenza” della legge nei confronti del mobbing. Al contrario, tale fenomeno risulta particolarmente odioso proprio perché – al netto del generale intento persecutorio del datore di lavoro, che non ha referente normativo diretto – può integrare la violazione di innumerevoli disposizioni di legge attributive di diritti in favore dei lavoratori.

Dunque, al fine di comprendere al meglio la portata del mobbing e la sua rilevanza giuridica, esamineremo le principali norme in materia di diritto del lavoro che, in caso di mobbing, vengono violate in via diretta o indiretta dal datore di lavoro o da chi, per lui, è autore delle condotte mobbizzanti.

Mobbing, Cosa Dice la costituzione

 

Gran parte delle norme costituzionali ha un valore precettivo. Ciò significa che non si tratta di regole “di principio” ma, al contrario, di disposizioni la cui violazione comporta delle conseguenze di vario tipo, prima fra tutte quella risarcitoria.

Con riferimento al fenomeno del mobbing, gli articoli della costituzione che ci interessano sono i seguenti:

  • Art. 2: afferma il valore centrale e primario della persona umana e della sua dignità, sia come individuo, sia nell’ambito delle c.d. formazioni sociali, fra cui spicca l’ambiente di lavoro;
  • Art. 3: statuisce il principio di uguaglianza tra i cittadini e vieta ogni discriminazione ingiustificata fra di essi, non solo da un punto di vista astratto ma anche in concreto, assegnando allo Stato il compito di attivarsi per l’effettiva realizzazione di tale obiettivo;
  • Art. 4: riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano questo diritto effettivo;
  • Art. 32: qualifica la salute come diritto fondamentale dell’individuo, oltre che come interesse generale della collettività;  
  • Art. 35: stabilisce che la Repubblica deve tutelare il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni;
  • Art. 41: afferma che l’iniziativa economica privata, pur libera (fra cui, soprattutto, l’attività imprenditoriale) non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

Da questa breve panoramica emerge chiaramente che ogni condotta in grado di rappresentare uno degli elementi costitutivi di un generale fenomeno di mobbing – come individuate nel precedente articolo – è in realtà in diretta violazione del precetto costituzionale: il mobbing, infatti, lede in prima battuta la dignità personale e professionale del lavoratore, che trova un’ampia tutela, in quanto diritto fondamentale, nella carta costituzionale. Può inoltre ledere anche il diritto alla salute, che analogamente assume un ruolo centrale nel sistema dei valori del nostro ordinamento, e il diritto a non subire discriminazioni. In particolare, sebbene il citato art. 3 Cost. faccia riferimento ai soli cittadini, è stato più volte chiarito dalla Corte Costituzionale come lo stesso sia da applicarsi in favore di ogni essere umano, così risultando vietate anche le discriminazioni in favore di soggetti stranieri e/o extracomunitari.


il mobbing, infatti, lede in prima battuta la dignità personale e professionale del lavoratore, che trova un’ampia tutela, in quanto diritto fondamentale, nella carta costituzionale.

Mobbing, Cosa Dice Il codice Civile

La disciplina-base del rapporto di lavoro è dettata dal codice civile, il quale prevede i principali diritti dei lavoratori. È opportuno precisare che tali norme – diversamente dalla maggior parte delle disposizioni del codice civile – sono definite “imperative”, e dunque non possono essere derogate in sede di stipulazione del contratto.

Ogni lesione di un diritto del lavoratore sancito da una norma imperativa può, potenzialmente, costituire indice di mobbing, se ovviamente sono presenti anche tutti gli altri elementi individuati dalla giurisprudenza.

Le violazioni più frequenti, tuttavia, riguardano le seguenti disposizioni:

  • Art. 2087: impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure che, secondo le particolarità dell’attività svolta, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro; se dalle condotte mobbizzanti deriva una lesione del diritto alla salute del lavoratore, pertanto, la stessa sarà risarcibile;

     

  • Art. 2103: disciplina la prestazione dell’attività lavorativa da parte del lavoratore, e determina le condizioni per il mutamento delle mansioni originariamente attribuite e per il trasferimento del lavoratore. Un trasferimento illegittimo, così come un demansionamento illegittimo, possono infatti costituire indici di mobbing, in quanto espressivi di un contegno ostile/vessatorio nei confronti del lavoratore;

     

  • Artt. 1175 e 1375: impongono alle parti di ogni rapporto contrattuale di agire reciprocamente secondo correttezza e buona fede, ovvero in modo da non ledere gli interessi della controparte. Tale disposizione consente, anche ai fini dell’accertamento del mobbing, di rilevare l’illiceità di alcune condotte formalmente legittime, in quanto contrarie a buona fede.

     

  • Art. 2049: chiama il datore di lavoro a rispondere dei danni cagionati dal fatto illecito commesso dal proprio dipendente durante lo svolgimento dell’attività lavorativa. Ciò implica che, anche se le condotte mobbizzanti sono realizzate da un collega o un superiore, le stesse sono comunque riconducibili al datore lavoro, che sarà tenuto al relativo risarcimento. 

Mobbing, Altre Fonti Normative


Oltre al codice civile, sono importanti anche altre norme attributive di diritti in favore del lavoratore e che si prefiggono l’obiettivo di tutelare quest’ultimo da varie forme di abuso.

In particolare:

  • D.Lgs. 81/2008 (Testo unico per la sicurezza sul lavoro): atto normativo di centrale importanza, prevede un’ampia serie di disposizioni finalizzate a garantire la sicurezza sul lavoro e a tutelare l’integrità psicofisica del prestatore di lavoro. Specificamente, l’art. 28 del decreto impone di considerare tra i rischi per la salute dei lavoratori anche quelli derivanti da condizioni di stress lavoro-correlato, nel cui ambito possono rientrare diverse condotte costitutive di mobbing;

     

     

  • L. 300/1970 (Statuto dei lavoratori) e D.Lgs. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna): queste fonti normative dispongono plurimi obblighi in capo al datore di lavoro, finalizzati a garantire concretamente il divieto di discriminazioni di qualunque genere sul luogo di lavoro che, come noto, rappresentano una delle ipotesi più tipiche e allo stesso tempo odiose in cui può concretizzarsi un intento mobbizzante del datore di lavoro.

 

Ancora, al codice civile e alle leggi speciali si aggiunge il Codice Penale. Ci sono infatti determinate condotte illecite, potenzialmente costituenti mobbing, che possono integrare altresì dei reati, come tali penalmente perseguibili e, segnatamente:

  • violenza privata (art. 610 c.p.): si applica se la condotta vessatoria ha avuto per effetto quello di costringere la vittima ad un determinato comportamento (ad esempio accettare svantaggiosi mutamenti delle proprie condizioni di lavoro);

     

  • minaccia (art. 612 c.p.): applicabile nel caso in cui il datore di lavoro arrivi a prospettare al lavoratore mobbizzato il pericolo di future ed ingiuste conseguenze dannose;

     

  • lesioni personali dolose o colpose (rispettivamente artt. 582 e 590 c.p.): rilevano nel caso in cui la condotta arrivi a ledere direttamente l’integrità psicofisica del lavoratore che ne è vittima;

     

  • violenza sessuale (art. 609-bis c.p.): applicabile nei casi in cui la condotta vessatoria assuma forme in grado di rientrare nell’ampia nozione di atti sessuali elaborata dalla giurisprudenza (dovendosi in essa ricomprendere anche azioni quali baci, abbracci, palpeggiamenti e più in generale ogni atto comunque coinvolgente la corporeità della persona offesa, posto in essere con la consapevolezza di invadere la sfera sessuale di una persona non consenziente);

     

  • molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.): fattispecie più lieve, che rileva nei casi in cui la condotta abbia assunto contorni più sfumati e meno gravi;

     

  • abuso d’ufficio (art. 323 c.p.): configurabile nel settore del pubblico impiego, nel caso in cui le condotte vessatorie siano poste in essere da soggetti qualificabili come pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.

    I CCNL e La prevenzione del Mobbing

     

    Nell’ambito del diritto del lavoro, non si può prescindere dalle disposizioni dei contratti collettivi nazionali del lavoro (CCNL), che hanno un valore para-normativo (non essendo derogabili in modo peggiorativo dai contratti individuali di lavoro).

    Tendenzialmente, nei CCNL viene ricalcata la disciplina normativa, per quanto riguarda il diritto del lavoratore all’integrità psicofisica, oppure il diritto del datore di lavoro a trasferire o mutare le mansioni del dipendente a determinate condizioni, fatte salve ovviamente disposizioni più specifiche che, tuttavia, non possono essere peggiorative rispetto a quanto sancito dalla legge.

     

    I contratti collettivi vengono rinnovati periodicamente, a seguito di un confronto fra le parti sociali (sindacati dei datori di lavoro e dei lavoratori), nell’ambito dei quali spesso vengono in rilievo tematiche di maggiore attualità sulle quali la legge non ha avuto modo ancora di elaborare una disciplina specifica. 

    Con particolare riguardo al mobbing, un fenomeno così grave eppure così frequente è stato preso in considerazione in sede di rinnovo di alcuni CCNL, in chiave soprattutto preventiva: è stato infatti valutato come più conveniente dotarsi, almeno in prima battuta, di un sistema finalizzato alla prevenzione di situazioni di mobbing, piuttosto che di un apparato sanzionatorio destinato ad agire in via successiva.

     

    Un esempio è costituito dall’art. 37 del CCNL Terziario Confcommercio, specificamente dedicato al fenomeno, di cui si riporta di seguito il testo.

     

    Art. 37 – Mobbing

    Le Parti riconoscono la fondamentale importanza di un ambiente di lavoro improntato alla tutela della libertà, dignità ed inviolabilità della persona e a principi di correttezza nei rapporti interpersonali.

    In attesa di un provvedimento legislativo che ne individui la definizione legale, le Parti intendono per mobbing quegli atti e comportamenti discriminatori e vessatori reiterati posti in essere nei confronti delle lavoratrici o dei lavoratori da parte di soggetti posti in posizione sovraordinata ovvero da altri colleghi, e che si caratterizzano come una vera e propria forma di persecuzione psicologica o di violenza morale.

    Le parti riconoscono pertanto la necessità di avviare adeguate iniziative al fine di contrastare l’insorgere di tali situazioni, che assumono rilevanza sociale, nonché di prevenire il verificarsi di possibili conseguenze pericolose per la salute fisica e mentale del lavoratore o della lavoratrice interessati e, più in generale, migliorare la qualità, il clima e la sicurezza dell’ambiente di lavoro.

    A tal fine, affidano alla Commissione Paritetica Permanente per le Pari Opportunità i seguenti compiti:

    • raccolta dei dati relativi all’aspetto qualitativo e quantitativo del fenomeno del mobbing;
    • individuazione delle possibili cause della problematica, con particolare riferimento alla verifica dell’esistenza di condizioni di lavoro o fattori organizzativi e gestionali che possano determinare l’insorgenza di situazioni persecutorie o di violenza morale;
    • formulazione di proposte di azioni positive in ordine alla prevenzione e alla repressione delle situazioni di criticità, anche al fine di realizzare misure di tutela del/della dipendente interessato;
    • formulazione di un codice quadro di condotta.”

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