Il cosiddetto lavoro in Nero vale in italia, secondo le stime di confartigianato, 202 miliardi di euro e quasi il 12% del pil. Sono più di 3 milioni i lavoratori irregolari. In questo articolo vedremo come la legge considera il lavoro irregolare, quali sono le sanzioni previste per i datori di lavoro e  quali sono gli strumenti per i lavoratori per far valere i propri diritti.  

 

Lavoro irregolare: definizione, caratteristiche, tipologie.

Il lavoro nero, come accade in generale per i fenomeni che sfuggono alla normazione, si presenta sotto svariate forme corrispondenti a diversi ordini di motivazione che, comunque, identificano un unico fenomeno illecito, consistente nella pratica di impiegare lavoratori subordinati senza aver comunicato l’assunzione al Centro per l’Impiego, con ogni conseguenza sotto il profilo retributivo, contributivo e fiscale.

La fattispecie del lavoro irregolare coincide con l’illecita occupazione di lavoratori, la cui assunzione non risulta dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria: dunque, a livello pratico, si verte nell’ipotesi di instaurazione di un rapporto di lavoro in violazione di tutte le prescrizioni normative dettate al riguardo, quali, ad esempio, la mancata comunicazione di assunzione al Centro per l’impiego, l’omessa denuncia nominativa all’INAIL o l’omessa registrazione sul libro matricola che consente agli organi di vigilanza l’immediato riscontro del personale occupato. In sintesi, il lavoratore assunto “in nero”:

  • non ha mai sottoscritto un contratto di lavoro regolare che disciplini le sue mansioni, le qualifiche ed ogni altro elemento rilevante a definire il rapporto di lavoro;
  • non riceve buste paga né altra documentazione comprovante il credito retributivo;
  • non riceve alcuna copertura assicurativa nello svolgimento delle sue prestazioni, non potendo fare affidamento su alcuna tutela in caso di infortunio, malattia, gravidanza, ecc.;
  • non può contare sul versamento di contributi previdenziali in suo favore;
  • non ha alcuna tutela in caso di licenziamento illegittimo.

Dal punto di vista sostanziale rientrano nel lavoro nero tutte le forme di lavoro non regolare sotto il profilo legale e, segnatamente, quelle subordinate e caratterizzate da forte squilibrio tra domanda e offerta in termini di relazioni di potere, che implicano situazioni di grave sfruttamento, come ad esempio nel caporalato, che si traducono nell’imposizione di condizioni di lavoro insalubri e degradanti, a danno di lavoratori che si trovano in una condizione di particolare vulnerabilità.

Per comprendere quanto questo fenomeno – che ovviamente determina un grave pregiudizio sia nei confronti del lavoratore che delle finanze pubbliche e dell’intero sistema economico produttivo – sia sempre più diffuso nella nostra Nazione, va segnalato un recente studio di Confartigianato, secondo cui sarebbero ben 3,2 milioni i lavoratori irregolari e gli operatori abusivi che popolano il sommerso, quel mondo parallelo che ‘vale’ 202,9 miliardi di euro e rappresenta l’11,3% del Pil e il 12,6% del valore aggiunto. 

Attualmente, nella composizione del lavoro nero, sta avendo un peso crescente la quota delle persone il cui lavoro è contrattualizzato in modo atipico, e non ci si riferisce tanto alle nuove forme contrattuali che riguardano il lavoro dipendente a tempo determinato ma, soprattutto, all’utilizzo fraudolento ed elusivo di contratti e forme contrattuali c.d. “flessibili” che, purtroppo, nella realtà spesso finiscono per dissimulare rapporti di lavoro subordinato a tutti gli effetti; in altri termini, la pratica del lavoro in nero spesso viene attuata tramite forme contrattuali che – attraverso altri istituti quali, ad esempio, l’apertura di partita IVA o lo svolgimento di prestazioni di carattere occasionale –  “mascherano” un rapporto di fatto subordinato.

Sistema sanzionatorio

Come accennato, il datore di lavoro che assume in nero commette dunque più tipologie di illeciti: sul piano privatistico, nei confronti del lavoratore, e su quello pubblicistico, nei confronti delle Autorità tenute a vigilare sulla regolarità dei rapporti di lavoro nonché degli Enti previdenziali ed assistenziali (Ministero del Lavoro, Centri per l’impiego, Inail, Inps, ecc.). 

Per tali ragioni, l’art. 3 del D.l. 12/2002  disciplina questo fenomeno tramite un sistema sanzionatorio a carico del datore, che prevede importi da euro 1.800 a euro 43.200 per ciascun lavoratore irregolare a seconda delle effettive giornate di lavoro, con maggiorazioni nel caso di impiego di lavoratori extracomunitari privi di permesso di soggiorno, minori privi dei requisiti legalmente stabiliti per l’ammissione al lavoro e lavoratori beneficiari del reddito di cittadinanza: ai sensi del D.lgs. n. 151/2015, il datore di lavoro ha comunque la possibilità di evitare tali sanzioni regolarizzando i rapporti di lavoro in nero accertati dalle Autorità ispettive sia per il periodo pregresso che per quello successivo alla notifica del verbale.

Strumenti a disposizione del lavoratore per far valere i propri diritti

Dunque, il datore di lavoro che impiega irregolarmente lavoratori pone in essere una violazione dei loro diritti indisponibili che, in quanto tale, può essere giudizialmente accertata e può condurre ad una condanna del datore di lavoro. In particolare, il lavoratore in nero può conseguentemente agire – anche successivamente alla conclusione del rapporto, ma comunque entro il termine di prescrizione di 5 anni da tale momento – tramite ricorso dinanzi alla sezione lavoro del Tribunale per ottenere la regolarizzazione del rapporto di lavoro, tanto con riferimento ai periodi “lavorati” che per il prosieguo dell’attività lavorativa. Ciò implica che, in caso di condanna il rapporto di lavoro si trasformerà a tutti gli effetti in un rapporto a tempo indeterminato e il datore di lavoro:

  • sarà tenuto a corrispondere all’Inps tutti i contributi previdenziali non versati;
  • dovrà versare all’Inail tutti i premi assistenziali;
  • dovrà liquidare al lavoratore tutti gli emolumenti di carattere retributivo come disciplinati dalla legge e dalla contrattazione collettiva che, in ragione del settore e dell’affiliazione del datore ad un’associazione di categoria, sarebbe astrattamente applicabile al rapporto una volta regolarizzato. 

Il lavoratore, per ottenere quanto di sua spettanza dovrà provare l’effettivo svolgimento di tale attività lavorativa e, dunque, quali mansioni ha svolto, per quanto tempo ed in favore di chi. Trattandosi di lavoro in nero, chiaramente, è spesso difficile reperire documentazione in grado comprovare l’effettivo svolgimento dell’attività lavorativa; pertanto, in giudizio, un ruolo essenziale viene assunto dai testimoni, che attraverso le loro deposizioni offrono al Giudice un quadro più o meno completo delle prestazioni lavorative svolte irregolarmente dal ricorrente.

Parimenti, il lavoratore potrà rivolgersi all’Ispettorato Nazionale del Lavoro competente per territorio, e richiedere un accertamento ispettivo presso il datore di lavoro.