Lo scorso lunedì è stato approvato il “decreto dignità” proposto dal ministro del Lavoro Luigi Di Maio, ma il provvedimento sembra già in grosse difficoltà. Non solo non è ancora entrato in vigore ma non è nemmeno arrivato alla Ragioneria generale dello Stato, il dipartimento del ministero dell’Economia.

Forse la motivazione della temporanea scomparsa del Decreto Dignità potrebbe collegarsi alla mancata revisione del testo del decreto.

In questa sede mi focalizzerò sulle modifiche apportate al contratto di lavoro.

Fra le più significative novità previste dal Dl dignità – il cui testo si compone di un totale di 12 articoli approvato dal CdM in data 2 luglio 2018 – vi sono:

1) le modifiche apportate alla disciplina del

contratto di lavoro a tempo determinato

(Titolo 1 “Misure per il contrasto al precariato”); l’articolo 1 apporta modifiche alla disciplina del. Si parte quindi dalla modifica Jobs Act per i contratti a termine (D. lgs 81/2015).

Cos’è che è cambiato?

In sostanza il nuovo contratto a termine avrà le seguenti caratteristiche:

  • ➢ Il primo contratto potrà avere una durata massima di 12 mesi se stipulato senza causale (ovvero la motivazione tecnica che induce a stipulare un rapporto a termine); il primo contratto potrà essere stipulato con un tetto massimo di 24 mesi se viene prevista da subito la causale.
  • ➢ Dopo i primi 12 mesi “acausali”, si potrà rinnovare il contratto per un massimo di altri 12 mesi, ma con l’obbligo di indicare la causale.
  • ➢ Il numero delle proroghe possibili nei contratti a termine diminuisce da 5 a 4 fermo restando la durata massima di 24 mesi, come descritto sopra; alla sesta proroga il contratto si intende a tempo indeterminato.
  • ➢ Le cause del contratto a termine possono essere le seguenti:

  1. temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro, o per esigenze
  2. sostitutive;
  3. connesseaincrementitemporanei,significativienonprogrammabilidell’attività ordinaria;
  4. relative alle attività stagionali (art. 21, comma 2) e a picchi di attività.

  • ➢ I contratti rinnovati avranno un costo contributivo dello 0,5% in più rispetto all’1,4% già previsto per i contratti a tempo determinato.
  • ➢ Il contratto a termine potrà essere impugnato entro 180 giorni (in precedenza il limite era di 120 giorni).
  • Quanto alla disciplina della fase di transizione, è previsto che le disposizioni si applicano ai contratti di lavoro a tempo determinato nuovi, ovvero sottoscritti dopo l’entrata in vigore del Decreto-Legge; la nuova disciplina si applica anche in caso di rinnovo a tempo determinato di contratti in corso alla data di entrata in vigore del decreto.

2) Le modifiche alla disciplina della somministrazione di lavoro:

➢ Scongiurata l’abrogazione dello staff leasing, ossia del contratto di somministrazione a tempo determinato.

➢ Al contratto di somministrazione a tempo determinato si applicano le stesse norme specificate sopra per il contratto a termine.

3) Le modifiche circa i licenziamenti:

➢ Stretta anche sui licenziamenti nei contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti

(D. lgs 23/2015). Se il licenziamento non è per: giustificato motivo oggettivo,

o per giustificato motivo soggettivo, o giusta causa l’indennità spettante al lavoratore, sale da un minimo di 6 (prima era 4) ad un massimo di 36

mensilità (in precedenza 24). Si tratta di una indennità non soggetta a contribuzione calcolata sull’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR

4) le modifiche apportate alla materia della delocalizzazione:

Altre misure contenute nel decreto legge dignità riguardano la delocalizzazione delle attività produttive dopo aver fruito di incentivi pubblici:

  • ➢ Le imprese che hanno utilizzato agevolazioni e incentivi pubblici non possono delocalizzare per cinque anni, nemmeno spostandosi all’interno dell’Unione Europa. Se lo fanno, non solo perdono l’agevolazione, dovendo restituire quanto incassato, ma pagano anche una sanzione. E’ la norma anti-delocalizzazione che riguarda in particolare: Le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede l’effettuazione di investimenti produttivi ai fini dell’attribuzione del beneficio; e prevede che non possano delocalizzare, in tutto o in parte, l’attività economica interessata dall’agevolazione, ovvero un’attività analoga, per cinque anni dalla conclusione dell’attività agevolata. Se lo fanno, decadono dal beneficio, restituiscono l’agevolazione applicando il tasso di interesse maggiorato fino a cinque punti e pagano una sanzione che può andare da due a quattro volte l’importo dell’aiuto.
  • ➢ Saranno le diverse amministrazioni pubbliche a stabilire regole di prassi e tempistiche per l’applicazione delle sanzioni e la restituzione degli aiuti ricevuti.
  • ➢ C’è anche una clausola di transizione per cui per le agevolazioni già in corso le amministrazioni hanno 180 giorni per apportare i necessari adeguamenti alla disciplina. Non è detto però che il decreto resti uguale a com’è ora, dopo l’esame del Parlamento. Aspettiamo le eventuali modifiche.