Danno Da Super Lavoro, Una Svolta 

Con la sentenza n. 4811 del 16 giugno 2025, il Tribunale del lavoro di Napoli ha introdotto un principio di grande rilievo in materia di tutela della salute del lavoratore, estendendo il riconoscimento del danno da usura psico-fisica anche ai rapporti di lavoro di breve durata.

Si tratta di un orientamento che, pur innestandosi in un filone giurisprudenziale già avviato, rafforza la centralità della cosiddetta “colpa organizzativa” datoriale, affermando con chiarezza che il danno alla salute può configurarsi anche in assenza di una patologia clinicamente accertata e a prescindere dalla durata del rapporto di lavoro.

Il Caso: contratto breve, ma condizioni inaccettabili

La pronuncia nasce dal ricorso presentato da un lavoratore assunto come guardia giurata con contratto a tempo determinato della durata di sette mesi. Durante tale periodo, egli è stato impiegato con turni giornalieri protratti fino a 13-14 ore, senza godere del riposo settimanale e ricevendo comunicazioni sui turni con preavvisi minimi o addirittura inesistenti, spesso tramite messaggistica istantanea.

Secondo il Tribunale, tali condizioni di impiego integrano un contesto lavorativo “stressogeno”, idoneo a compromettere i diritti fondamentali alla salute, al riposo e alla dignità personale del lavoratore.

Nonostante la breve durata del contratto, il Giudice ha ritenuto sussistente un danno risarcibile, ricorrendo al principio per cui il danno da usura psico-fisica può configurarsi come lesione in re ipsa, ossia insita nella violazione stessa dei diritti inviolabili della persona, senza necessità di una dimostrazione medico-legale specifica.

Che cos’è il danno “in re ipsa”?

Uno degli aspetti centrali della decisione è costituito dal principio per cui il danno derivante da iper-lavoro può essere ritenuto sussistente sulla base del solo superamento dei limiti legali e contrattuali in materia di orario di lavoro e riposi.                                                                                 

Tale posizione, ormai consolidata anche nella giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Cass. 21 luglio 2023, n. 21934; Cass. 15 luglio 2019, n. 18884), afferma infatti che la lesione alla salute e alla qualità della vita del lavoratore si verifica già per effetto del logoramento e della compressione sistematica del tempo di vita, senza che sia necessaria una diagnosi clinica di malattia.

Il Tribunale di Napoli fa esplicito riferimento al fondamento costituzionale di tale tutela, richiamando l’art. 36 della Costituzione, che riconosce il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata e a condizioni di lavoro dignitose, e l’art. 2087 del Codice civile, che impone al datore di lavoro l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.

La responsabilità datoriale e la “colpa organizzativa”

Elemento distintivo dell’impostazione adottata dalla sentenza in esame è il focus sulla responsabilità oggettiva dell’organizzazione aziendale.

Secondo il Giudice, il datore di lavoro è tenuto a predisporre un ambiente lavorativo idoneo a garantire non solo la sicurezza fisica, ma anche l’equilibrio psico-fisico del dipendente. Ne deriva che la responsabilità sorge anche in assenza di un comportamento attivo o intenzionale: è sufficiente che l’assetto organizzativo sia tale da esporre il lavoratore a ritmi insostenibili o imprevedibili.

La pronuncia esclude inoltre qualsiasi rilevanza al consenso eventualmente prestato dal lavoratore nell’accettare turni straordinari o condizioni sfavorevoli, ribadendo il superamento dell’antico principio civilistico del volenti non fit iniuria.

La moderna lettura dell’art. 2087 c.c., costituzionalmente orientata, impone un dovere proattivo e permanente in capo al datore di lavoro, la cui omissione genera responsabilità ogniqualvolta si verifichi un danno, anche se di natura non patologica.Tutela del lavoratore e impugnazione

     

    La quantificazione del danno: un criterio equitativo con margini di sviluppo

    Nonostante l’importanza della pronuncia sotto il profilo dei principi, la liquidazione del danno è avvenuta secondo un criterio equitativo piuttosto contenuto: al ricorrente sono stati riconosciuti circa 1.500 euro, calcolati sulla base del 30% del valore delle ore straordinarie eccedenti la soglia mensile prevista dal contratto.

    Tale metodo, se da un lato offre una soluzione immediata e fondata su parametri oggettivi (la retribuzione), dall’altro rischia di sottostimare l’incidenza effettiva dell’usura psico-fisica sul benessere personale.

    In tal senso, alcune pronunce più recenti – come quella del Tribunale di Milano del 25 giugno 2024, n. 3191 – hanno valorizzato l’aspetto soggettivo del danno non patrimoniale, facendo ricorso alle Tabelle milanesi per la liquidazione del danno alla persona, in grado di meglio riflettere la sofferenza e il pregiudizio esistenziale derivante da condizioni di lavoro logoranti.

      Verso un nuovo paradigma della sicurezza organizzativa

      La decisione del Tribunale di Napoli si colloca all’interno di un più ampio processo di evoluzione della giurisprudenza del lavoro, che ha progressivamente ampliato la nozione di ambiente di lavoro “nocivo”, anche quando non si configurano le note fattispecie del mobbing o dello straining.

      Oggi, l’attenzione si concentra sempre più sull’organizzazione complessiva del lavoro: turni imprevedibili, mancanza di pause, comunicazioni estemporanee, compressione della vita privata non sono più considerate semplici irregolarità contrattuali, ma indicatori di una disfunzione strutturale che incide direttamente sulla salute psico-fisica del lavoratore.

      L’ambiente “stressogeno” viene così riconosciuto come un vero e proprio fattore di rischio autonomo, che richiede una responsabilità preventiva da parte del datore di lavoro, pena l’insorgenza di un’obbligazione risarcitoria in caso di danno.

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