Dimissioni per fatti Concludenti: nuova normativa
Cosa sono le dimissioni per fatti concludenti?
Le dimissioni per fatti concludenti rappresentano una nuova forma di cessazione del rapporto di lavoro introdotta dall’art. 11 della Legge n. 203/2024 (c.d. Collegato Lavoro). Si tratta di una modalità alternativa al licenziamento che si applica quando il lavoratore si assenta ingiustificatamente dal lavoro, senza presentare comunicazioni o giustificazioni, per un determinato periodo di tempo.
Attraverso tale procedura, il datore di lavoro ha il diritto di considerare dimissionario il dipendente, evitando così di dover avviare una procedura disciplinare a carico di quest’ultimo per poi procedere al licenziamento, nonché di pagare il contributo NASpI (cosiddetto “ticket licenziamento”), previsto – per l’appunto – solo in caso di licenziamenti.
Il legislatore ha inserito questa nuova disposizione nel comma 7-bis dell’art. 26 del D.Lgs. n. 151/2015, accanto alle regole già esistenti sulle dimissioni telematiche. Tale modalità, come peraltro chiarito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 27331/2023, è obbligatoria e in difetto di comunicazione telematica le dimissioni sono inefficaci.
Tuttavia, la nuova disciplina introdotta dal Collegato Lavoro introduce un’eccezione a tale obbligo.
Casi di applicazione
Il datore di lavoro può servirsi di questa procedura quando il lavoratore si è allontanato dall’azienda, senza formalizzare le dimissioni secondo la modalità online prevista obbligatoriamente dalla legge. Tuttavia, in tale ipotesi, il datore di lavoro non è vincolato dalla normativa, ma può scegliere fra:
- seguire la procedura disciplinare tradizionale (ex art. 7 dello Statuto dei Lavoratori – Legge n. 300/1970);
- applicare la nuova procedura per fatti concludenti.
Come applicare la procedura disciplinare tradizionale
Nel primo caso, è necessario:
- contestare formalmente l’assenza, aprendo un procedimento disciplinare a carico del lavoratore;
- attendere le eventuali giustificazioni scritte del lavoratore o la sua audizione personale;
- rispettare i termini previsti dal CCNL;
- e, infine, adottare il provvedimento di licenziamento, con pagamento del ticket NASpI (che, nel 2025, può arrivare fino a 1.922,25 euro per lavoratori con almeno 3 anni di anzianità).
Nuova procedura per fatti concludenti
Se si sceglie la procedura per fatti concludenti, invece, i passaggi sono i seguenti:
- Il datore di lavoro deve verificare il CCNL applicato per stabilire quanti giorni di assenza senza comunicazioni sono necessari per considerare l’assenza ingiustificata:
- CCNL Metalmeccanici: 4 giorni lavorativi;
- CCNL Commercio: 3 giorni lavorativi;
- In mancanza di indicazioni nel contratto collettivo, vale l’art. 19 della Legge n. 203/2024, che fissa in 15 giorni di assenza non comunicata il termine, decorrente dal 16° giorno.
- Il datore di lavoro deve verificare se l’assenza è qualificabile come “ingiustificata”: si parla di assenza “ingiustificata” solo quando non è pervenuta alcuna comunicazione da parte del lavoratore. Se invece una comunicazione c’è, ma è ritenuta inidonea a giustificare l’assenza, il datore non può usare questa procedura, ma deve aprire un procedimento disciplinare.
- La norma non impone al datore di avvisare il lavoratore, ma si suggerisce comunque di inviare una PEC o una raccomandata all’ultimo indirizzo noto per prevenire possibili contestazioni.
- Il datore di lavoro deve effettuare la comunicazione obbligatoria all’Ispettorato del Lavoro territorialmente competente (luogo in cui si svolgeva l’attività lavorativa), preferibilmente tramite PEC.
Con nota n. 579 del 22 gennaio 2025, l’Ispettorato Nazionale ha fornito un modulo fac simile (https://www.lavorosi.it/fileadmin/user_upload/PRASSI_2024/inl-nota-n-579-2025-fac-simile-comunicazione-4.pdf), da compilare con i dati di datore e lavoratore, il CCNL applicato, e l’ultimo recapito del dipendente. - L’Ispettorato può (facoltativamente) decidere di avviare un accertamento entro 30 giorni. I possibili esiti sono:
- il lavoratore non viene trovato;
- il lavoratore conferma il proprio comportamento;
- il lavoratore fornisce elementi per ritenere l’assenza giustificata (es. forza maggiore o comportamento scorretto del datore, come un licenziamento verbale).
In questo ultimo caso, l’Ispettorato dichiara inefficaci le dimissioni per fatti concludenti, ma non può ripristinare il rapporto di lavoro. Tuttavia, il lavoratore potrà utilizzare i provvedimenti conseguenti all’accertamento ispettivo in un eventuale giudizio di merito, impugnando il licenziamento di fatto (come tale, inefficace).
- Il datore di lavoro, entro 5 giorni dalla constatazione delle dimissioni, deve effettuare la comunicazione ai Servizi per l’Impiego, tramite il portale del Ministero. In caso di omissione, è prevista una sanzione amministrativa da 100 a 500 euro, riducibile se pagata nei termini.
Conseguenze delle dimissioni per fatti concludenti
L’utilizzo di tale procedura comporta, per il datore di lavoro, il diritto a non pagare il contributo NASpI e il diritto a trattenere l’indennità di mancato preavviso, se non lavorata.
Il lavoratore dimissionario per fatti concludenti, invece, non ha diritto alla NASpI, perché non ha perso il lavoro in modo involontario. Egli potrà eventualmente accedervi solo in caso di nuova assunzione e licenziamento successivo, ma a condizione che maturi almeno 13 settimane di contributi nel nuovo rapporto, senza dunque tener conto della intercorrenza del rapporto precedente terminato con le dimissioni di fatto (come previsto dal comma 171 dell’art. 1 della Legge n. 207/2024, che ha modificato l’art. 3 del D.Lgs. n. 22/2015).
La norma, dunque, intende contrastare pratiche elusive, come quelle di lavoratori che si dimettono “di fatto” e poi si fanno assumere e licenziare rapidamente da datori “compiacenti”, per accedere alla NASpI. Tuttavia, rischia di penalizzare anche chi, dopo una cessazione per fatti concludenti, si ritrova sfortunatamente licenziato prima di aver raggiunto le 13 settimane minime previste dalla normativa nel nuovo impiego.
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