Impugnazione del testamento per incapacità di intendere e di volere del testatore: in questo articolo, partendo dalla definizione di “incapacità”, analizzeremo le modalità e le tempistiche attraverso cui è possibile fare valere questo tipo di annullabilità. 

Introduzione

Come noto, il testamento rappresenta l’atto di ultima volontà attraverso il quale una persona (che prende il nome di “testatore” o “disponente”) dispone di tutti i suoi beni per il tempo in cui non sarà più in vita. La legge italiana prevede, in linea di massima, tre tipi di testamento: 

testamento olografo, redatto a mano dal testatore, datato e sottoscritto;

testamento pubblico, redatto, in presenza di testimoni, da un notaio, al quale il disponente esplicita le proprie volontà;

testamento segreto, redatto dal testatore e consegnato da quest’ultimo, in busta chiusa e sigillata, a un notaio, affinché lo custodisca.

Poiché il testamento è un atto irripetibile, il nostro ordinamento riflette l’esigenza di salvaguardare le volontà del testatore il più possibile (c.d. favor testatoris): per tale ragione, le ipotesi di nullità e annullabilità dell’atto di ultima volontà sono ridotte rispetto a quelle previste per i contratti e necessitano di un accertamento di fatto particolarmente rigoroso. 

Uno dei casi più frequenti è rappresentato dall’impugnazione del testamento per incapacità del testatore di intendere e di volere. Tale rimedio consente di annullare l’atto di ultima volontà e, dunque, di rendere valido un testamento redatto in precedenza, oppure – in mancanza – di applicare le norme relative alla successione legittima, secondo le quote e i criteri fissati dalla legge. 

Il concetto di incapacità

Ai fini dell’impugnazione del testamento per incapacità, rileva la cosiddetta “incapacità naturale”, che – differentemente dalle ipotesi del testamento redatto dal minore o dall’interdetto, che è sempre invalido – rappresenta, in concreto, l’incapacità di intendere e di volere del testatore: la prima riguarda la sfera della comprensione di ciò che si sta facendo, mentre la seconda l’autodeterminazione su quanto si vuole compiere.

In tal senso, può essere rilevante qualsiasi stato psichico alterato: da una grave patologia psichica, quale, ad esempio la sindrome di Alzheimer, a uno stato di alterazione non definitivo dovuto all’assunzione di bevande alcoliche o sostanze stupefacenti, o ancora a forti stati depressivi clinicamente rilevanti. Risulta dunque determinante non la causa in sé dell’incapacità, ma il venir meno della possibilità di comprendere e di autodeterminarsi al momento della redazione dell’atto; in considerazione del già menzionato favor testatoris, ai fini dell’annullamento tale incapacità deve essere assoluta. 

Per capire meglio cosa si intende per “assoluta”, può essere utile riprendere le considerazioni dei giudici della Corte di Cassazione, i quali hanno affermato in più occasioni che “l’annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà  psichiche ed intellettive del de cuius. Bensì la prova che il soggetto sia privo in modo assoluto della coscienza dei propri atti. Ovvero della capacità di autodeterminarsi.

Bisogna infine evidenziare che la sottoposizione del testatore ad una misura di tutela quale l’inabilitazione o l’amministrazione di sostegno non implica in alcun modo, di per sé, la sua incapacità di fare testamento, a meno che la stessa non sia chiaramente prevista nel provvedimento giudiziale istitutivo. Anche in tali casi, dunque, ferma restando la valenza indiziaria di tali forme di tutela (di cui si dirà nel prosieguo), occorrerà dimostrare l’incapacità nei termini indicati dalla Cassazione.

Tempi, modalità e legittimazione ad impugnare. I possibili risvolti penali

L’impugnazione del testamento per incapacità deve essere oggetto di domanda giudiziale: il giudice dovrà infatti procedere all’accertamento, in concreto, dell’incapacità di intendere e di volere del testatore al momento della redazione dell’atto di ultima volontà e, qualora tale accertamento avrà esito positivo, dovrà dichiarare l’annullamento del testamento e dunque la sua invalidità-inefficacia, con le conseguenze già indicate all’inizio dell’articolo.

La legge non prevede un elenco di soggetti che hanno la possibilità di impugnare il testamento per incapacità del testatore (c.d. “legittimati attivi”), dovendosi far riferimento a chiunque vi abbia un interesse diretto e attuale, e dunque a tutti coloro che possano trarre un vantaggio effettivo dall’annullamento del testamento. Il caso più ricorrente è, senza dubbio, quello degli eredi legittimi che, per effetto di un testamento – ritenuto invalido per incapacità – si vedano ridurre notevolmente la quota che gli spetterebbe per legge o, addirittura, si vedano esclusi dalla successione. 

Inoltre, è importante sottolineare che il regime di impugnazione per incapacità non riguarda solamente il testamento olografo, ma anche gli altri tipi di testamenti previsti dal nostro ordinamento.

Infatti, con specifico riguardo al testamento pubblico – che, ai sensi dell’art. 2700 c.c., fa piena prova delle dichiarazioni ivi contenute, fino a querela di falso – anche se il notaio dichiari lo stato di sanità mentale, la capacità del disponente può essere contestata con ogni mezzo di prova, senza bisogno di proporre querela di falso. Ciò in quanto l’efficacia di piena prova si limita a quanto direttamente e immediatamente percepito e constatato dal notaio, non potendosi pertanto demandare a quest’ultimo un accertamento approfondito delle condizioni psichiche del disponente tale da farne affermare con certezza la capacità di intendere e di volere.

Quanto al profilo temporale, il termine di prescrizione per impugnare giudizialmente il testamento per incapacità è di 5 anni dal giorno in cui il testamento viene eseguito. 

Tuttavia, vi è un caso in cui non ci sono limiti di tempo per far valere tale forma di invalidità: ciò è possibile quando l’incapace subisca un’influenza da parte di un soggetto terzo nella redazione del testamento, tale da inficiare la sua autodeterminazione nel disporre dei suoi beni.

A ben vedere, è un’ipotesi astrattamente non rara, anche se di difficile accertamento. Qualora ciò si verifichi, la condotta del soggetto terzo può integrare gli estremi del reato di circonvenzione di incapace, penalmente sanzionato, con la conseguenza che il testamento, oltre ad essere annullabile per incapacità, è anche nullo per contrarietà a norma imperativa, discendendone, per l’appunto, l’imprescrittibilità della relativa azione.

L’onere della prova e il concetto di “lucido intervallo”

L’onere di provare lo stato di incapacità di intendere e di volere del testatore al momento della redazione del testamento grava in capo a chi lo impugna. Sempre in un’ottica di favor testatoris, tale onere è particolarmente rigoroso, dovendosi dimostrare – come visto – un’incapacità assoluta.

Tuttavia, tale dimostrazione può essere data con qualunque mezzo di prova, potendo essere utili a tal scopo anche elementi indiziari (come, ad esempio, la sottoposizione ad amministrazione di sostegno) e presunzioni. 

Un ruolo di estrema rilevanza è svolto dalle certificazioni mediche precedenti e successive alla redazione del testamento, le quali, tuttavia, più saranno cronologicamente distanti dal momento della redazione più avranno una valenza meramente indiziaria, non potendo fondare di per sè l’accertamento dell’incapacità.

Anche dalla scheda testamentaria stessa è possibile ricavare indizi sulla capacità del testatore, ciò sia tenendo conto del tenore generale delle disposizioni – in particolare, verificando se sono coerenti con i rapporti umani e affettivi intessuti dal testatore nel corso della vita – e, soprattutto, in caso di testamento olografo, dalla grafia. Attraverso l’ausilio di un perito grafologo, infatti, sulla base della sola scrittura autografa è possibile ricavare numerose informazioni sulle condizioni psicofisiche dello scrivente. 

Infine, in difetto di elementi oggettivi univoci, anche le testimonianze possono risultare decisive al fine di dimostrare l’incapacità del testatore, ferma restando la valutazione del giudice in merito all’attendibilità dei testimoni.

Quanto esposto finora corrisponde alla ripartizione, per così dire, “ordinaria” dell’onere della prova che, come detto, grava su chi intende far valere l’incapacità. 

Tuttavia, qualora vi siano certificazioni mediche tali da attestare in modo inequivoco una assoluta compromissione delle facoltà di intendere e di volere del testatore nell’arco temporale in cui è stato redatto l’atto di ultima volontà, spetterà invece a chi invoca la validità del testamento impugnato dimostrare che lo stesso sia stato redatto nel corso di un “lucido intervallo” tra stati psichici corrispondenti a incapacità. Tale possibilità, affermata in più occasioni dalla Corte di Cassazione (tra le più recenti, Cass. 26873/19), in realtà ha una portata quasi solamente teorica, in quanto la dimostrazione della redazione del testamento nel corso di un lucido intervallo – come facilmente intuibile – è tutt’altro che agevole.

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