Per un singolo cittadino può essere molto difficile fare valere i propri diritti nei confronti di una grande impresa, se però più cittadini Uniscono le proprie forze, i rapporti di potere possono riequilibrarsi. è questo il principio che sta alla base al concetto di class Action. Vediamo più nel dettaglio. 

 

 Le finalità dell’istituto e le sue origini

Il concetto di class action richiama subito all’esperienza degli Stati Uniti, in cui questo rimedio è stato addirittura definito “l’incubo delle multinazionali”.

Il principio che vi è alla base è molto semplice e facilmente intuibile: per un singolo cittadino può essere molto difficile – se non impossibile – far valere i propri diritti nei confronti di una grande impresa, dal fatturato miliardario, data l’evidente disparità di mezzi e risorse. Se, però, più cittadini uniscono le proprie forze, reclamando collettivamente la violazione di un proprio diritto nei confronti di una grande impresa, i rapporti di potere possono riequilibrarsi e il singolo ha così la reale possibilità di veder tutelati i propri interessi.

Il modello della class action nasce già nel 1938 negli Stati Uniti d’America e si basa proprio su questo schema. In tale contesto l’istituto oggettivamente ha avuto una portata dirompente; basti considerare, ad esempio, che nel 2001 è stata intrapresa una class action nei confronti della Firestone, avente ad oggetto il malfunzionamento degli pneumatici del fuoristrada Explorer quando il veicolo circolava ad alta velocità, che si è concluso con la condanna di Firestone a pagare dieci miliardi di dollari.

La disciplina interna

In Italia, l’introduzione dell’istituto è invece recente (2007) e coincide con il suo inserimento solo in materia di diritto dei consumatori per poi, solo successivamente dal 2021, avere finalmente una portata generale con l’introduzione nell’ultima parte del Codice di procedura civile (Legge 12 aprile 2019, n. 31).

Per comprendere il funzionamento di questo istituto nel nostro ordinamento e soprattutto in quali situazioni è possibile avvalersene, occorre un breve accenno alla sua disciplina: in estrema sintesi, la class action è proponibile da associazioni e organizzazioni senza scopo di lucro, i cui obiettivi mirino alla tutela di diritti individuali omogenei, oppure da ciascun componente della classe (ovvero da ogni privato che ritiene di aver subito o star subendo una lesione di un proprio diritto individuale omogeno). Il soggetto chiamato in giudizio, presunto autore della lesione, può essere un’impresa, ma non solo: infatti, la class action è proponibile anche contro un ente gestore di servizi pubblici o di pubblica utilità.

La prima fase consiste in una valutazione di ammissibilità, all’esito della quale l’iniziativa giudiziaria viene pubblicata sul sito del Ministero della Giustizia un avviso pubblico, che consente quindi a tutti coloro che si ritengono lesi di partecipare all’azione e, dunque, di riceverne gli eventuali effetti positivi (ad es., risarcimento). Quanto alle tipologie, queste sono solo di due tipi:

  1. a) azione di accertamento della responsabilità e di condanna al risarcimento.
  2. b) azione inibitoria collettiva.

Come intuibile, la prima è finalizzata a ristorare un danno subito da una classe di soggetti a causa del comportamento di un ente o un’impresa, mentre la seconda ha l’obiettivo di far cessare un comportamento di un ente o di un’impresa che si ritiene lesivo di un diritto (come detto, individuale omogeneo).

L’esperienza italiana ad oggi

Volgendo lo sguardo all’effettivo utilizzo di questo strumento nel nostro Paese, ad oggi le class action proposte sono oggettivamente molto sporadiche, anche alla luce del fatto che il nostro ordinamento conosce la portata generale di questo istituto come detto solo da pochi anni. 

Tuttavia, è interessante notare che una materia in cui le class action possono spiegare al meglio i propri effetti è quella del diritto del lavoro, in cui c’è un forte squilibrio fra le parti, a maggior ragione se il datore di lavoro è una grande multinazionale.

È il caso della class action proposta nel 2021 dalla CGIL Palermo nei confronti di Deliveroo, il colosso inglese delle consegne operativo in molte città italiane. In particolare, anche facendo seguito a quanto statuito da alcune sentenze “individuali” (fra cui una emessa a fine 2020 dal Tribunale di Bologna); con questa iniziativa i riders di Deliveroo – generalmente assunti con contratto di lavoro autonomo e senza alcuna tutela – hanno reclamato il proprio diritto di vedersi riconosciuto un rapporto di lavoro subordinato, con applicazione del Contratto Collettivo di Categoria e dei relativi diritti che ne discendono.

Altre due class action in materia lavoristica sono poi state proposte nei confronti della neonata compagnia di trasporto aereo di bandiera ITA Airways: la prima, del dicembre 2021, con cui si chiede un intervento contro le discriminazioni subite da alcune lavoratrici in età fertile o con familiari disabili a carico, la seconda con cui si chiede l’assunzione – o il risarcimento del danno – di tremila lavoratori ex-Alitalia non riassorbiti nell’organico della nuova compagnia.

Allo stato, queste class action risultano ancora pendenti e, dunque, non è possibile fare previsioni concrete circa il loro esito finale e l’effettiva portata concreta di tale istituto. Tuttavia, un primo dato emerge chiaramente: nonostante sia ad oggi uno strumento ancora poco praticato, a mio avviso si tratta di un grande acquisto del nostro sistema giuridico, poiché permette di dare voce a tanti soggetti che, in mancanza, si vedrebbero privati di tutela a causa di uno squilibrio di potere economico fra le parti sempre più frequente nella società contemporanea.