Sono diverse le alternative che l’ordinamento concede al lavoratore per ottenere il versamento delle retribuzioni (diritto che si prescrive in cinque anni (art. 2948 c.c.)) non versate spontaneamente dal datore di lavoro quest’ultimo.

In particolare, qualora, nonostante i solleciti diretti e l’azione degli intermediari, l’azienda continui a non riconoscere lo stipendio, il dipendente avrà a disposizione le seguenti soluzioni:

  1. A) Conciliazione monocratica dinanzi all’Ispettorato del lavoro

Il dipendente può rivolgersi all’Ispettorato del lavoro, ufficio conciliazioni monocratiche, e chiedere un confronto, in quella sede, con il proprio datore di lavoro. La procedura – gratuita e che non necessita di avvocati – è molto snella. Infatti, l’Ispettore convoca le parti ed illustra le conseguenze in caso di avvio del procedimento ispettivo e,

  • se questo riesce, il verbale funge da “titolo esecutivo”, equivale cioè a una sentenza e consente al dipendente di agire con il pignoramento contro il datore che si renda eventualmente inadempiente;
  • se viceversa l’accordo non riesce, l’Ispettorato – effettuati gli accertamenti sull’omissione contributiva e verificata l’eventuale effettiva sussistenza del credito retributivo lamentato dal dipendente – diffida il datore di lavoro a saldare il debito, intimazione che acquista efficacia di titolo esecutivo, dando al lavoratore la possibilità di agire mediante atto di precetto al fine di soddisfare le proprie pretese.
  1. B) Ricorso per decreto di ingiunzione provvisoriamente esecutivo

Oltre al ricorso all’Ispettorato, il lavoratore ha la possibilità di utilizzare un’altro strumento molto rapido: può infatti rivolgersi al proprio legale di fiducia, il quale inoltrerà per suo conto una diffida e messa in mora nei confronti del lavoratore intimandogli il pagamento della retribuzione entro un termine molto stretto (solitamente 10 giorni). in caso di mancato versamento spontaneo illegale potrà poi – comprovando il diritto alle retribuzioni semplicemente con la produzione della busta paga – che costituisce piena prova scritta contro il datore di lavoro – depositare un ricorso innanzi al Tribunale del lavoro, ai fini di ottenere l’emissione di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo; a tale fine è bene rimarcare che per i lavoratori che hanno un reddito familiare complessivo inferiore ai 35 mila euro (attestabile tramite una semplice autodichiarazione) – tutte le spese e tasse sono esenti. 

In caso di accoglimento, il Tribunale emette il decreto ingiuntivo con l’invito all’azienda di adempiere al pagamento entro quaranta giorni dalla notifica.

  1. C) Dimissioni per giusta causa

Il lavoratore ha diritto di dimettersi senza preavviso in presenza di un inadempimento del datore talmente grave da non consentire la prosecuzione, nemmeno temporanea, del rapporto (art. 2119 c.c.); orbene, tra le ipotesi tassative che legittimano le dimissioni per giusta causa, l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità e merito include proprio il mancato o ritardato pagamento della retribuzione.

Premettendo che si tratta di una decisione importante, per l’impatto che ha sul rapporto di lavoro, la dimissione per giusta causa può costituire l’extrema ratio in caso di reiterato ed illegittimo comportamento datoriale. A pena di inefficacia, le dimissioni devono essere formalizzate a mezzo di invio del modello telematico predisposto dal Ministero del Lavoro, attraverso la piattaforma disponibile sul portale cliclavoro.gov.it seguendo il percorso “Cittadini – Dimissioni telematiche” se in possesso delle credenziali SPID o CIE. Dunque, in virtù dell’interruzione del rapporto, il dipendente avrà diritto a:

  • ferie e permessi non goduti;
  • mensilità aggiuntive maturate sino alla data di cessazione;
  • TFR.

Inoltre, è fondamentale ricordare che trattandosi di dimissioni per giusta causa, il lavoratore avrà diritto all’indennità sostitutiva del preavviso e, in presenza degli altri requisiti contributivi richiesti, all’indennità di disoccupazione Naspi, previa domanda all’INPS. Il pagamento del TFR e delle altre somme maturate negli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro sono inoltre garantiti dal Fondo di garanzia istituito presso l’INPS; l’intervento del Fondo, previa domanda del lavoratore, avviene a fronte dell’impossibilità dell’azienda di erogare la retribuzione, in quanto coinvolta in procedure concorsuali (fallimento, liquidazione, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria).

A fronte di questa brevissima disamina, appare quindi evidente che – in caso di mancato versamento di stipendi – affidarsi ad un legale rappresenta indubbiamente una scelta opportuna: infatti, quest’ultimo ha gli strumenti e le competenze necessarie per individuare quale sia la scelta migliore, più utile ed efficace in favore del lavoratore per ottenere in tempi rapidi la soddisfazione del proprio legittimo credito.