Tutele per le Lavoratrici Madri e donne in gravidanza, in questo articolo vedremo insieme quali sono le tutele basilari che il nostro ordinamento offre in tema di Tutela del lavoro genitoriale

Due recentissime pronunce giurisprudenziali, della Suprema Corte (Sez. Lav., 5476/21) e del Consiglio di Stato (Sez. II, 8578/21) – che hanno rispettivamente statuito che costituiscono discriminazioni di genere il mancato rinnovo, a parità di situazioni lavorative, di un contratto a termine solo nei confronti di una lavoratrice che si trovava in stato di gravidanza l’esclusione nonché l’esclusione dal concorso pubblico di una candidata solo perché in stato di gravidanza – meritano particolare attenzione poiché offrono lo spunto per alcune considerazioni generali circa le tutele basilari che il nostro ordinamento offre in tema di tutela del lavoro genitoriale.

Questa normativa è attualmente racchiusa nel D. Lgs. 26.03.2001, n. 151 che – traendo fondamento nell’art. 37 della Costituzione – rappresenta il frutto di un lungo percorso legislativo finalizzato a garantire la tutela della salute e della sicurezza della donna e del bambino, dall’inizio della gravidanza sino al momento del reinserimento lavorativo. Il nucleo di questa complessa disciplina – oggetto anche recentemente di numerosi interventi correttivi – può così sintetizzarsi:

    • divieto di licenziamento: è indubbiamente la misura principe di questo sistema ed opera dall’inizio della gestazione fino al termine del periodo di interdizione obbligatoria dal lavoro, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino (art. 54, 1° co. D.Lgs. 151/01); durante il periodo di irrecedibilità la lavoratrice non può nemmeno essere sospesa dal lavoro, salvo che sia sospesa l’attività dell’intera impresa o del reparto cui la lavoratrice è addetta e purché il reparto abbia autonomia funzionale. La lavoratrice-madre inoltre non può neppure essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo, salva l’ipotesi di collocamento in mobilità a seguito della cessazione dell’attività dell’impresa. Il licenziamento della lavoratrice madre è nullo (e non temporaneamente inefficace) per il periodo in cui perdura il divieto, fermo restando che il datore di lavoro può far valere l’eventuale motivo di licenziamento, se ancora sussistente al termine del periodo. Con la L. 92/12 anche tale ipotesi di nullità è sanzionata con la tutela reale forte (reintegrazione nel posto di lavoro e ricostruzione integrale del periodo intermedio). Inoltre, sia la risoluzione consensuale del rapporto che le dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza e durante i primi tre anni di vita del bambino, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. In caso di dimissioni volontarie durante il periodo di irrecedibilità la lavoratrice ha inoltre diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento e non è tenuta al preavviso

       

    • astensione obbligatoria; durante i due mesi antecedenti alla data presunta del parto e fino al terzo mese successivo, vige il periodo di astensione obbligatoria (computato ad ogni effetto nell’anzianità di servizio ed in alcune particolari condizioni anche previsto in ipotesi di affidamento), con conseguente diritto alla sospensione del rapporto ai sensi dell’art. 2110 c.c. Ove il parto avvenga oltre tale data opera per il periodo intercorrente fra la data presunta e la data effettiva nonché durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. In alternativa a quanto in precedenza indicato, alle lavoratrici spetta la facoltà di frazionare diversamente i cinque mesi di astensione obbligatoria, decidendo di collocarli anche per intero nel periodo successivo al parto e quindi continuando a lavorare fin a ridosso del parto
  • diritto al rientro; al termine dei periodi di divieto di lavoro (nonché dei periodi di congedo, permesso o riposo di cui infra), il lavoratore padre o la lavoratrice madre hanno diritto al rientro nella medesima unità produttiva presso cui operavano in precedenza o in altra ubicata nello stesso comune ed alla permanenza fino al compimento di un anno di età del bambino. Viene inoltre ribadito l’ovvio diritto all’adibizione alle mansioni da ultimo svolte o equivalenti ed altresì di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro, di fonte legislativa, regolamentare o contrattuale collettiva, che sarebbero spettati loro durante l’assenza. La violazione delle norme sul diritto al rientro comporta una sanzione amministrativa;
  • divieto di lavori pericolosi, faticosi o insalubri; durante la gestazione e fino a sette mesi dopo il parto, la lavoratrice non può essere adibita al trasporto ed al sollevamento di pesi, nonché a lavori pericolosi, faticosi ed insalubri. Le lavoratrici adibite ai lavori vietati devono essere trasferite ad altre mansioni, in ipotesi anche inferiori, ma con il mantenimento del trattamento acquisito in precedenza; 
  • astensione anticipata dal lavoro: può essere riconosciuta dall’Ispettorato territoriale del Lavoro – in relazione alle condizioni di salute della lavoratrice – l’anticipazione dell’interdizione dal lavoro, per uno o più periodi: 1) in caso di gravi complicanze della gestazione o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza; 2) quando le condizioni di lavoro o ambientali sono ritenute pregiudizievoli alla salute della donna o del bambino; 3) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni
  • astensione facoltativa; oltre al periodo di astensione obbligatoria è prevista la possibilità di un eventuale ulteriore periodo di astensione facoltativa (computato nell’anzianità di servizio), che può aver corso entro i primi dodici anni di vita del bambino. Complessivamente i congedi parentali, per ambedue i genitori, non possono eccedere il limite di dieci mesi (cinque per le adozioni e gli affidamenti) e sono così disciplinati: a) la lavoratrice ha diritto di assentarsi, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi; b) il padre lavoratore può assentarsi, a decorrere dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi; c) il genitore che sia solo per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a dieci mesi. Inoltre, si sottolinea che un prolungamento del congedo è previsto per i genitori di minori portatori di handicap gravi. Il diritto all’astensione facoltativa spetta anche;
  • divieto di lavoro notturno; se ne stabilisce il divieto dalle ore 24 alle ore 6, per il periodo che va dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino.

II      Altri istituti di tutela

Accanto a queste misure essenziali e di base, vi sono altri istituti che completano la disciplina a tutela della maternità e del nascituro, tra cui – per importanza – segnalo:

  • permessi di riposo durante la giornata: il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Tali periodi di riposo hanno la durata di un’ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro, comportando altresì il diritto della lavoratrice di allontanarsi dal posto di lavoro. In caso di parto plurimo i periodi di riposo sono raddoppiati;
  • congedo di maternità: si tratta di un periodo, flessibile, di astensione obbligatoria dal lavoro per un totale massimo di 5 mesi. fruizione durata e diversamente disciplinata a seconda delle specificità dei singoli di casi sulla base di tabelle esplicative previste anche sulla base della contrattazione collettiva;
  • congedo parentale: in sintesi, è l’astensione facoltativa dei genitori per un periodo di massimo 10 mesi nei primi 12 anni di vita del bambino. Il congedo parentale può essere richiesto (per la sua intera durata, in maniera frazionata o ad ore) dalla madre e dal padre lavoratore per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi;
  • congedo per malattia del figlio: i genitori (alternativamente) hanno diritto ad astenersi dal lavoro per tutta la durata della malattia del figlio fino ai suoi 3 anni. Dai 3 agli 8 anni del figlio l’astensione è di massimo 5 giorni l’anno;

III     Trattamento economico durante i periodi di astensione

I periodi di assenza obbligatoria e, in parte, quelli di assenza facoltativa, sono coperti da un trattamento economico di carattere sociale, gestito dall’INPS. In particolare, i genitori che usufruiscono dell’astensione obbligatoria hanno diritto ad un’indennità (anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro): a) per il periodo di astensione obbligatoria, pari all’80% della retribuzione; b) per quello di astensione facoltativa e per i congedi parentali, pari al 30% della retribuzione, ma solo fino al sesto anno di vita del bambino e comunque per un periodo massimo complessivo fra i genitori di sei mesi. 

Va comunque segnalato che, per venire incontro alle necessità economiche dei genitori nella prima fase di crescita del bambino, è stato previsto che l’astensione facoltativa costituisce una nuova ipotesi di diritto all’anticipazione del trattamento di fine rapporto