Parità di Genere nel Mondo del Lavoro
Parità di Genere, Quali sono le tutele in caso di condotta discriminatoria
La parità di generale è una tematica di particolare attualità, che viene in rilievo in moltissimi ambiti e, segnatamente, nel mondo del lavoro. Nella prassi, infatti, sono purtroppo frequenti i comportamenti discriminatori nel contesto lavorativo, sia fra colleghi di pari livello, sia – soprattutto e prevalentemente – fra lavoratori e superiori o fra lavoratori e datori di lavoro.
Cosa si intende per parità di genere?
L’uguaglianza di genere, conosciuta anche come parità tra i sessi, è una condizione nella quale le persone ricevono un trattamento paritario, con la possibilità di partecipare e svolgere attività senza alcun ostacolo e indipendentemente dal genere, a meno che non vi sia una valida ragione biologica per un trattamento diverso.
Le normative sulla parità di genere
Nel mondo del lavoro sono state recentemente intraprese una serie di iniziative, sia da parte dell’ordinamento italiano che europeo, al fine di garantire astrattamente e concretamente tale parità.
La legislazione dell’UE, infatti, si è mossa in tale direzione prevedendo disposizioni orientate all’uguaglianza nei luoghi di lavoro quali:
- regole sull’impiego (inclusi parità di salario, sicurezza sociale, condizioni di lavoro, protezione dalle molestie);
- regole sul lavoro in proprio;
- diritti a congedo di maternità, paternità e congedo parentale.
Le nuove misure giuridicamente vincolanti riguardano un’ampia gamma di questioni: l’abolizione della disparità retributiva, l’eliminazione della discriminazione basata sul genere, il rafforzamento della presenza delle donne nei Consigli di amministrazione e la lotta alla violenza contro le donne.
Quali sono le misure per ridurre il divario retributivo?
Per quanto attiene alle misure dirette a ridurre il divario retributivo di genere, il Parlamento europeo ha previsto una serie di misure specifiche:
- nel caso in cui i dati facciano registrare una differenza del 5% tra i salari degli uomini e delle donne, allora i datori di lavoro dovranno collaborare con i rappresentanti dei lavoratori per analizzare e risolvere il problema;
- gli Stati Membri dovranno inoltre prendere provvedimenti nei confronti dei datori di lavoro che non rispettano le suddette regole con multe e sanzioni;
- infine, le offerte di lavoro e i titoli di lavoro dovranno essere scelti in modo da non creare differenze tra uomini e donne.
Ciò conformemente all’art. 157 Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che sancisce
“ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore”.
Da detti principi, unitamente a quelli propri dell’ordinamento nazionale in riferimento – in particolar modo in ambito lavoristico – discende un generale divieto di discriminazione e obbligo di protezione della “essenziale funzione familiare” della donna lavoratrice. Tali principi si consolidano nell’“eguaglianza senza distinzione di sesso” e nell’“eguaglianza nel lavoro e nella sua retribuzione a favore delle lavoratrici”, oltre a essere integrati e sviluppati dal c.d. Codice delle Pari Opportunità, che ha meglio dettagliato la formulazione del divieto di discriminazione di genere.
Obblighi dei datori di lavoro sulla parità di genere
Pertanto, anche il datore di lavoro ha l’obbligo di rispettare il principio generale di parità fra i sessi in tutte le fasi del rapporto di lavoro, dalla selezione del personale alla costituzione del rapporto, dal suo svolgimento e fino alla sua cessazione.
Le discriminazioni poste in essere dal datore di lavoro possono essere dirette o indirette e sono espressamente sanzionate all’interno del Codice delle Pari Opportunità. In particolare, si rinvengono:
- divieto di discriminazione nell’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e nelle condizioni di lavoro (art. 27);
- divieto di discriminazione retributiva (art. 28);
- molestie, ossia quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso o a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi comunque lo scopo o l’effetto di violare la dignità della lavoratrice e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.
- divieto di discriminazione nella prestazione lavorativa e nella progressione di carriera (art. 29) e anche nell’accesso alle prestazioni previdenziali (art. 30);
- discriminazioni legate alla gravidanza ed alla fruizione dei diritti legati alla maternità e paternità.
Quali sono le sanzioni per il mancato rispetto del Codice delle Pari Opportunità?
L’elenco, non esaustivo, delle discriminazioni disciplinate, comporta due principali conseguenze relative al sistema di tutela previsto:
- La prima attiene ad una sanzione amministrativa irrogata nei confronti di qualsiasi datore di lavoro che violi i suddetti divieti o che ponga in essere tali comportamenti discriminatori legati al genere, per una somma che va da euro 5.000,00 a euro 10.000,00.
- La seconda, anche più rilevante per il Lavoratore o Lavoratrice, attiene ad una tutela giudiziale, sia in forma individuale che collettiva, ex art. 410 c.p.c. o ex art. 66 D. lgs. n. 165/2001, mediante la quale al dipendente è concessa la facoltà di ricorrere al Tribunale avverso tali comportamenti discriminatori per tutelare i propri diritti. In tal caso, il Giudice del lavoro, una volta accertata l’illegittimità del comportamento datoriale, emette un decreto immediatamente esecutivo, mediante il quale intima a quest’ultimo la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti da esso derivati. L’eventuale mancato rispetto di tali disposizioni comporta per il datore di lavoro una sanzione penale dell’ammenda fino ad euro 50.000,00 e l’arresto fino a 6 mesi.
Cosa succede a chi denuncia una discriminazione di genere?
È poi prevista una ulteriore misura a tutela del lavoratore o della lavoratrice: qualora quest’ultimo agisca in giudizio per far accertare una discriminazione, anche per molestia sessuale, non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altre conseguenze negative sulle condizioni di lavoro. Pertanto, il licenziamento del denunciante o il suo mutamento di mansioni sono da considerarsi ritorsivi o discriminatori e dunque nulli.
Si tratta di previsioni che, da tempo, sono sancite anche dalla giurisprudenza europea, la quale si è pronunciata anche in merito alle sanzioni a carico del datore di lavoro in caso di licenziamento discriminatorio, affermando che
“Nell’ipotesi di un licenziamento discriminatorio per ragioni di sesso, il ristabilimento della situazione d’uguaglianza può essere realizzato con la reintegrazione del soggetto discriminato nel posto di lavoro e, alternativamente, con una riparazione pecuniaria del pregiudizio subito. Qualora si opti per la seconda soluzione, la riparazione pecuniaria deve permettere di compensare integralmente il pregiudizio subito” (Corte di Giustizia Comunità Europee, sent. n. 271/91).
Se ritieni di essere stato o stata vittima di una discriminazione sul lavoro, contattaci senza impegno per una consulenza.
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